L’AOSTA ad Udine.

L’AOSTA ad Udine.

L’AOSTA ad Udine.

Ho spesso pensato di essere strano, un poco sopra le righe. Odio gli ombrelli e non li uso mai, ma non è sempre stato così. C’è stato un tempo della mia vita in cui al mare scappavo da dentro all’acqua perché cominciava a piovere e correvo in cabina con l’asciugamano teso sopra la testa; con 30 gradi. Cerco nella mia mente il momento in cui tutto cambiò e l’associo senza sforzo ad Aosta ed alle sue montagne; ripenso ai forti temporali estivi che mi coglievano nelle sue valli, mentre seguivo il passo sicuro di mio nonno su alti sentieri. Lui era indifferente al maltempo. Aveva fatto la Grande Guerra sul Carso. Io, arrivato come tanti ad Augusta Praetoria per svolgere il servizio militare, scoprii mio malgrado che “…gli Alpini non sono solubili in acqua… !!, come mi tuonò nelle orecchie il capitano che mi sorprese quel lontano Aprile con l’impermeabile civile sopra la testa (non avevo ancora la divisa), lasciandomi tre quarti d’ora sotto un’acqua battente che mi inzuppava fino alle mutande. Mentre sto in piedi, nella pioggia di Udine che altri definirebbero torrenziale, mi rendo conto che la “stranezza” cui accennavo sopra è un fatto comune a tutti coloro che portano una penna. Osservo, da sotto la tesa del mio cappello alpino, centinaia di persone tranquillamente ferme sotto gli scrosci, che chiacchierano sommessamente con la riservatezza tipica della gente di montagna, senza alcuna rassegnazione o lamentela per il meteo inclemente, semplicemente orgogliosi della loro divisa grigia che sposa il cielo color piombo, immoti come aironi in una totale indifferenza all’acqua. Sono gli Alpini dell’Aosta. I tricolori dei distintivi dell’Associazione sono fieramente bordati di rosso e nero, a testimoniarne l’appartenenza. Dal feltro del mio Bantam purtroppo non cola alcuna goccia a mimetizzare gli occhi lucidi e qualche lacrima di commozione nel sentirmi parte di questa realtà. Ma non me ne vergogno. Le file grigie si inquadrano ordinatamente, senza che il Presidente debba utilizzare la propria autorità. Mi inquadro anch’io, coi miei compagni di Corso. La Scuola Militare Alpina sfila con l’Aosta. Cominciamo a scendere tra ali di folla ombrelluta che ci applaude e grida sotto gli impermeabili e dalle transenne fradice. Un elicottero batte un ritmo sopra le nostre teste, ma noi preferiamo i tamburi che segnano il passo dietro di noi. Nel “tira e molla” tipico delle colonne in marcia, ci fermiamo a qualche centinaio di metri dal palco delle Autorità per riordinare le file. Tra gli spettatori abbiamo incrociato occhi di bimbi, ragazze, nonne; abbiamo ammiccato a volti forse noti, rovistando nella memoria a chiederci se quel sottufficiale non fosse allora con me a Malles, o su ad Alp Chaligne, o l’avessi incontrato in Piazza Chanoux o al Vallone di Orgere o al Battaglione Susa. Poco importa, lo salutiamo come fosse un fratello. Poi vedo un volto scavato da rughe che sembrano le nostre valli. Una barba lunga e rada ormai ingrigita da cui spunta orgogliosa una pipa di legno accesa e fumante nonostante l’acqua, un consunto cappello da Ufficiale con il numero 4 sul fregio e a fianco lo stemma del Battaglione Aosta. Una mano ritorta si tende verso di me. L’accolgo tra le mie, dura come il legno dei pini, e la stringo. Non so cosa dire. Allora parla lui, con un accento friulano: “…ho ottantasette anni, e ho donato la mia gioventù alle Aquile della Testafochi; avrei voluto essere lì con voi, ma le mie gambe non ne vogliono sapere…” sussurra commosso dalla sua sedia a rotelle. Io gli rispondo che lui è con noi e lo sarà sempre, pur non conoscendolo affatto, e mi commuovo anch’io. Lui, con un moto d’orgoglio, porta la destra alla tesa del cappello e io mi raddrizzo nel mio miglior “attenti” e ricambio il saluto. Mi fissa con gli occhi azzurri un poco appannati e mi sillaba: “Ca custa l’on ca custa … “e, da dietro a me e dal profondo della mia e di altre gole sale un grido: “VIVA L’AUSTA”.

Condividi questo articolo

Lascia un commento

Thank you for your upload